Corte di Giustizia Europea: no al reato di “immigrazione clandestina”

Lussemburgo, 28 Aprile 2011 – L’Italia non può punire con la reclusione gli immigrati irregolari che non rispettino l’ordine di abbandonare il Paese. La Corte di Giustizia Europea ha dichiarato illegittimo l’introduzione nel diritto penale italiano del reato di immigrazione clandestina per il quale si prevede la reclusione, poiché non coerente con la direttiva europea sul rimpatrio degli immigrati clandestini. Dopo l’invenzione dei Centri di Permanenza Temporanea con la Legge del 1998 (Bossi-Fini)  si è consentita di fatto l’introduzione della detenzione amministrativa. Ed è per trovare un fondamento giuridico ai centri che fu introdotto il reato di immigrazione clandestina nel 2009 con il Pacchetto Sicurezza. La clandestinità da illecito amministrativo divenne reato penale punito con la reclusione. A portare la Corte a pronunciarsi sul tema è il caso di Hassan El Dridi, un algerino condannato dal tribunale di Trento ad 1 anno per mancato rispetto di un ordine di espulsione. La Corte si è pronunciata dicendo in sostanza che “una sanzione penale della clandestinità così come stabilita nella legislazione italiana può pregiudicare l’obiettivo di stabilire una politica di rimpatrio che sia rispettosa dei diritti fondamentali“. In più, la Corte ha ritenuto di dover escludere qualsiasi disposizione contraria alla direttiva e alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri. Dunque secondo la sentenza, il giudice italiano, che è incaricato di applicare le disposizioni del diritto dell’Unione e di assicurarne la piena efficacia, “dovrà disapplicare ogni disposizione nazionale contraria alla direttiva e tener conto del principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite, che fa parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri“.La Corte Ue ha poi sottolineato che l’Italia non ha ancora trasposto la direttiva europea sui rimpatri, da cui “la procedura di allontanamento italiana differisce notevolmente”. Pur essendo la legislazione penale di competenza degli stati membri, questi devono comunque rispettare il diritto Ue e non possono quindi applicare una normativa, sia pure di diritto penale, che ne comprometta la realizzazione degli obiettivi.

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